Il primo e inimitabile Bed and Breakfast per gli amanti dei gatti e i romantici innamorati della luna!
domenica 11 agosto 2013
A Cadimare dal 9 al 18 Agosto si svolge la sagra "Sapori e colori del golfo"
martedì 6 agosto 2013
Palio del Golfo 2013
Si è svolta domenica 4 Agosto l'edizione numero 88 del Palio del Golfo. La gara è stata vinta nella categoria senior dal Marola perciò ripropongo questo articoletto che avevo scritto nel 2003 per la rivista "L'Arsenale delle idee" e che ora è più che mai attuale.
Evviva!
Cercando su
internet la voce “Palio”, si trova un interminabile elenco di
manifestazioni sparse per l’Italia che portano questo nome. Su
tutte spicca il Palio di Siena, indubbiamente il più famoso, anche
se, dal mio punto di vista, assurdo e cruento per il modo in cui
vengono trattati quei poveri cavalli... Va bene, lo ammetto, sto
cincischiando perché non so cosa scrivere sul Palio del Golfo.
Intanto perché, in ambito locale, è già stato detto tutto e poi
perché io non sono propriamente una tifosa pur abitando in una
borgata. Non ho mai partecipato a una sfilata, né come
organizzatrice, tanto meno come manifestante, perché non amo le
carnevalate, sopratutto se avvengono sotto un cocente sole d’agosto.
Ricordo di averne vista una soltanto, un po’ di anni fa, sotto
l’ombra smunta di un arancio di Corso Cavour e di aver deciso di
non vederne altre. Il Palio vero e proprio, invece, non me lo perdo.
Però, siccome sono un’irriducibile snob con la puzza al naso, lo
guardo in televisione. Chi me lo fa fare di partire nel primo
pomeriggio, in un’ora in cui perfino le lucertole si nascondono,
per andare a conquistarmi un posto in prima fila e poi mantenerlo
fino a tarda sera? Nel mio giardino c’è un comodo lettino e un
olivo ombroso, basta portare il televisore fuori e... il gioco è
fatto. Forse, se avessi una barca...
Durante le
gare preliminari mi annoio un po’ e ne approfitto per innaffiare i
fiori, sbirciando lo schermo con falsa noncuranza ma, al momento del
via, sono lì incollata e remo con i vogatori.
Sudo con
loro e urlo con la folla, non riesco a tenere le gambe ferme e remo
anche con i piedi. Insomma, mi stanco moltissimo.
Ma ecco che
la barca del mio paese è in testa, i miei famigliari fanno il tifo,
io no. Sto muta, mentre un brivido d’emozione mi scende per la
schiena e mi fa venire la pelle d’oca. Che sta facendo quella
barca? Non vorrà mica superarci? E no, non può passarci avanti. Lo
speaker deve essere tifoso dell’altro armo perché continua a
insistere che ci ha superato. Superato un corno: siamo primi. Forza
ragazzi, siamo tutti con voi nel momento in cui tagliate il
traguardo. Vedo amici e conoscenti che si buttano in mare, ridono,
piangono, lanciano fumogeni. Fanno saltare la barca per aria... Io
faccio finta di niente e vado a prendere la mia bandiera dal
cassetto, l’appendo al balcone con noncuranza, come se fosse un
dovere. Vedo che anche dagli altri balconi sventolano le bandiere con
i colori della nostra borgata e mi sale un groppo di commozione. Poi
sento che stanno tornando indietro a piedi, per festeggiare, alcuni
fanno i caroselli col motorino. Cantano e suonano, fanno un casino
infernale. Scendo sulla strada principale ad aspettare il corteo e,
quando lo vedo sbucare da dietro la curva, mi spunta una lacrima in
un angolo dell’occhio. La ricaccio furtiva e mi giro intorno per
accertarmi che nessuno l’abbia notata. Ora il corteo mi sta
passando a fianco, qualcuno dei miei conoscenti, in preda a un
raptus, si ferma e mi abbraccia, altri salutano con la mano. Hanno
lanciato un razzo in mezzo ai rovi che hanno preso fuoco...ci mancava
anche un incendio stasera.
Mi accodo a
quella massa saltellante e caotica e vado composta alla marina e poi
nel cuore del paese, in quei vicoli che non ho più percorso dai
tempi della scuola, su per la scalinata della chiesa, le campane
suonano a festa... Stanno cominciando i fuochi d’artificio ma noi,
stasera, non li vedremo. I flash delle macchine fotografiche, gli
ex-compaesani che sono tornati apposta per l’occasione, il vino che
scorre a fiumi e gli slogan che vengono scanditi, i balli
improvvisati sui tavoli di legno...
Concedo un
sorriso alla notte stellata.
Marameo! La
tua borgata non ha vinto, la mia sì.
giovedì 11 luglio 2013
sabato 29 giugno 2013
Parco Naturale Regionale di Porto Venere
Torre Scuola |
Isole e Costa |
L'Isola del Tino |
Tramonto su Porto Venere |
L'Isola del Tino Questi luoghi meravigliosi sono stai dichiarati Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco nel 1997. Le fotografie sono state scattate da Edoardo Giavelli |
martedì 25 giugno 2013
Liguria da bere 2013
Venerdì 28, sabato 29 e domenica 30 il centro città ospiterà la manifestazione. Per info
http://www.comune.laspezia.it/eventi/evento_747.html?uri=/index.html
sabato 22 giugno 2013
Miss Charlie Charline
lunedì 10 giugno 2013
Sbarco dei Pirati a Cadimare
22 Giugno 2013: nuova edizione dello sbarco dei Pirati a Cadimare
http://www.losbarcodeipiraticadimare.it/presentazione.33.html#presentazione
http://www.losbarcodeipiraticadimare.it/presentazione.33.html#presentazione
sabato 8 giugno 2013
Portovenere...una perla
Porto Venere è stato inserito nel 1997 fra i siti patrimonio dell'umanità dell'UNESCO e dal settembre 2001 è Parco Naturale Regionale insieme alle isole Palmaria, Tino e Tinetto.
Del comune di Porto Venere fanno parte anche i borghi di Fezzano e La Grazie.
Il nostro B&B dista 3 km da Fezzano e circa 9 dal comune capoluogo!
Del comune di Porto Venere fanno parte anche i borghi di Fezzano e La Grazie.
Il nostro B&B dista 3 km da Fezzano e circa 9 dal comune capoluogo!
Fotografie di Edoardo Giavelli
4 Gatti e la Luna prezzi 2013
Prezzo camera doppia, occupata da due persone, con bagno privato, colazione compresa:
min. 60,00 euro a notte max. 80,00 euro a notte
Doppia uso singola 35,00-45,00
Parcheggio GRATUITO a 10 metri. Parcheggio privato gratuito per motocicli.
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venerdì 7 giugno 2013
La Spezia
Montesquieu visitò l'Italia fra l'Agosto del 1728 e il Luglio del 1729. Le sue parole a proposito della Spezia:
"Il porto-tutto il golfo-è una delle cose più stupende che ci siano in Italia"
Panorama del Golfo di Edoardo Giavelli
"Il porto-tutto il golfo-è una delle cose più stupende che ci siano in Italia"
Panorama del Golfo di Edoardo Giavelli
giovedì 6 giugno 2013
Giugno al B&B
Per festeggiare l'arrivo dell'estate quest'anno abbiamo deciso che chi soggiornerà nel nostro B&B almeno due notti nel mese di giugno pagherà ancora 65,00 euro a notte per la camera doppia occupata da due persone e ci faremo carico noi della tassa di soggiorno (1,50 euro a persona a notte).
Per info scrivere a 4gattielaluna@gmail.com
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Gli iris
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Colori sapori e profumi
mercoledì 5 giugno 2013
Miss De Ciccettis II
lunedì 3 giugno 2013
domenica 2 giugno 2013
Il timo (Thymus vulgaris)
Ha anche un uso farmacologico, in particolare contro tosse e mal di gola.
La mia ricetta:
RAVIOLI DI CARNE AROMATIZZATI AL TIMO
Preparare un impasto con farina, acqua e uova (io metto due uova ogni mezzo chilo di farina). Stendere il "panetto" col mattarello o con l'apposita macchina fino a ottenere una sfoglia abbastanza sottile e uniforme.
Preparare il ripieno: sbattere le uova con un pizzico di sale, aggiungere noce moscata, parmigiano grattuggiato e mollica di pane dopo averla bagnata con l'acqua e poi strizzata bene. In una padella far soffriggere un trito di aglio e prezzemolo e poi aggiungere carne macinata di manzo e, se piace, anche di maiale. Aggiungere un ciuffo di bietole lessate e tritate e, se la trovate, anche un po' di boraggine (lessata insieme alle bietole). Prima di togliere dal fuoco, aggiungete una manciata di foglioline di timo. Unite alle uova sbattute e regolate di sale.
Procedete alla formazione dei ravioli o utilizzando l'apposito stampo o manualmente. Disponete piccoli ciuffi di ripieno sulla sfoglia a una distanza di 4-5 cm gli uni dagli altri. Quando avete creato "una fila", ripiegate un poco la sfoglia in modo da coprire il ripieno e tagliate ogni raviolo con la rotellina di ottone dentata che apparteneva a vostra nonna.
Finiti gli ingredienti lasciate asciugare un po' all'aria i ravioli e poi cuoceteli con abbondante acqua salata. Scolateli e conditeli con un bel ragù di carne e una spolverata di parmigiano.
Questa è la rotellina per tagliare i ravioli!
Acquasanta, il Santuario
Alcune nozioni di storia dal sito del Comune della Spezia:
http://www.comune.laspezia.it/conoscerecitta/itinerari/acquasanta.html
Un raccontino scritto da me e pubblicato su "Storie di Quartiere 2002"
ACQUASANTA,
OH ACQUASANTA.
Vivere
in un paese è un’impresa ardua che può diventare titanica se il
borgo è molto piccolo.
Quando
poi questo, non è nemmeno un paese, ma una “frazione” come
l’Acquasanta, sono proprio dolori.
A
proposito, perché si chiamerà frazione?
Sarà
perché mi ricorda la matematica ma la parola non mi piace molto. Comunque,
l’Acquasanta, oltre a essere un piccolissimo agglomerato di case
con un cimitero enorme è, dal punto di vista geografico, in una
delle posizioni più felici del nostro bellissimo golfo.
Racchiusa
a sud dalla Grande Muraglia dell’Arsenale, lungo la quale scorre la
statale per Portovenere, e dagli altri tre lati dalle colline, vede
il sole presto la mattina e il buio tardi la sera, questo mentre un
frizzante venticello, proveniente da Campiglia, la percorre durante
tutto l’arco della giornata e rende superflui i condizionatori d'aria ma utilissimi i termosifoni...
Dista
solo tre chilometri di strada dalla città, ma ne è lontana anni
luce in termini di abitudini; poche centinaia di metri dal mare e non
è nemmeno aperta campagna. Insomma, non è né carne, né pesce.
Per
quanto riguarda i suoi abitanti, quelli del nucleo originale ovvio,
sono talmente pochi da considerarsi parte di un’unica famiglia,
ragion per cui non si muove una foglia senza
che tutti lo vengano a sapere. Nel bene e nel male.
Perciò,
se tu fumi una sigaretta a sedici anni e, quando torni a casa, tua
madre ti dà un sonoro ceffone, non chiederti perché ma chi ha fatto
la spia.
La
tua vicina di casa naturalmente che, vedendoti commettere l’atto
sacrilego, ha pensato bene di rendere partecipe i tuoi dei misfatti
che stai compiendo alle loro spalle. Se poi ti fidanzi o decidi di
tradire il coniuge, oppure ti muore il gatto è meglio che
tu metta, nella bacheca vicino al bar, dei manifesti per annunciare
l’accaduto, onde evitare che qualcuno fraintenda le tue reali
vicissitudini.
E’
pur vero che se hai un grave problema di salute e vivi solo, come
minimo dieci persone sono pronte a darti una mano.
Se
poi muore un tuo congiunto, o ti sposi, tutti ti faranno le
condoglianze o gli auguri e ti manderanno una corona di fiori o un
regalo.
Da
sempre esiste fra gli “acquasantini” e i “marolini”
un’aperta rivalità. Intanto perché Marola è un vero e proprio
paese e poi perché, essendo in collina, domina con lo sguardo un po’
altezzoso, il piccolo borgo che sorge ai suoi piedi. E poi Marola ha
anche la scuola, l’ufficio postale e la farmacia.
Vuoi
mettere la differenza?
Sì
va bene, però noi una volta avevamo il canale. Non è mica una cosa
da poco. E’ vero che, soprattutto d’estate, emanava un olezzo
insopportabile e pullulava di ratti e zanzare, però sui suoi argini
i ragazzi si fidanzavano e nel suo letto si faceva l’albero
della cuccagna e la gara della pastasciutta.
Questo
bisogna ammetterlo: la festa patronale veniva celebrata meglio nei
bassifondi. Nei primi giorni di Luglio, tutte le case esponevano le
loro luminarie e poi arrivava la giostra
e il tiro a segno. La sera della festa si accendevano i falò sul
piazzale del piccolo Santuario e, mentre le fiamme riverberavano sui
loro volti, grandi e piccini si affumicavano ben bene ma erano
felici, comunque, di condividere un momento speciale e di tornare a
casa puzzolenti e con gli occhi arrossati. In ogni casa si preparava
la torta di riso salata da offrire a quelli che venivano a fare
visita e la banda suonava
tutto il pomeriggio della domenica.
Poi
un giorno è arrivato Zanzarick a protestare e, a forza di appendere
cartelli e topi morti lungo la strada, il torrente Caporacca è stato
nascosto per sempre da uno strato d’asfalto
e i giovani, ormai motorizzati, hanno cominciato a pomiciare altrove,
l’albero della cuccagna è stato fatto a pezzi e bruciato in
qualche stufa e la pastasciutta, per motivi igienici, è meglio
mangiarla al ristorante o a casa propria.
Finiti
gli stimoli mondani anche la ricorrenza ha perso la sua importanza e,
quelli che si erano trasferiti altrove, hanno cessato di tornare.
I
bambini che giocavano nei treggi, sorvegliati dalle mamme, sono
diventati adulti e, avendo paura che i propri figli potessero farsi
male, hanno chiesto e ottenuto che questi fossero interrati salvo
poi, una volta diventati nonni, chiederne la riapertura per ritrovare
le tracce della passata infanzia felice. La vecchia stradina
polverosa è stata asfaltata perciò, quando piove, nessun detrito
scende a ostruire la strada principale e, dal momento che la grande
cava è ormai in disuso, nessun camion e nessuna ruspa turbano la
quiete degli abitanti. Il calzolaio è morto e nessuno ha preso il
suo posto, è stata chiusa la macelleria, uno dei due forni, entrambi
i negozi di frutta e verdura e il tabacchino-cartoleria dove noi, da
piccoli, compravamo le merendine e i quaderni.
I
platani della chiesa continuano a offrire la loro ombra agli unici
due vecchi sopravvissuti all’ incedere impietoso del tempo.
Sono
arrivati dei “forestieri” e le case, mai restaurate, si sono
scrostate e ingrigite. Però, ogni anno, tornano i grilli e le
lucciole a turbare la quiete della notte estiva e i papaveri ad
arrossare i cigli dei fossi mentre la valeriana sporge con arroganza
dai muri diroccati e, quando guardo i cavalli pascolare fra gli
olivi, penso che, tutto sommato, continuerò a vivere qui.
Sagra del raviolo ai frutti di mare di Marola
E' nata nel 1994 ed è diventata molto rinomata in tutta la provincia.
Quest'anno è iniziata il 31 maggio e finirà il 23 giugno. Si svolge solo il venerdì, sabato e domenica presso l'area verde del nostro paese. Oltre ai ravioli si possono gustare altri piatti tipici e, per gli amanti del ballo, c'è la possibilità di scatenarsi in pista al suono di un'orchestrina. Vale la pena farci un salto!
Dopo due foto "bruttine" scattate da me, ecco il paese di Marola visto da un bravo fotografo: Edoardo Giavelli
Quest'anno è iniziata il 31 maggio e finirà il 23 giugno. Si svolge solo il venerdì, sabato e domenica presso l'area verde del nostro paese. Oltre ai ravioli si possono gustare altri piatti tipici e, per gli amanti del ballo, c'è la possibilità di scatenarsi in pista al suono di un'orchestrina. Vale la pena farci un salto!
Dopo due foto "bruttine" scattate da me, ecco il paese di Marola visto da un bravo fotografo: Edoardo Giavelli
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martedì 28 maggio 2013
Il rosmarino (Rosmarinus Officinalis)
E' un arbusto che cresce abbondante nelle nostre zone. In questo periodo è fiorito ed è molto gradevole, oltre che per il profumo, per l'aspetto.
Il rosmarino, pianta aromatica per eccellenza, trova numerosi impieghi sia in cucina per aromatizzare piatti di carne, pesce o verdure, sia per usi erboristici medicamentosi o cosmetici.
Ha proprietà digestive. Stimola l'appetito e calma gli spasmi della muscolatura liscia conferendogli proprietà antispastiche e antidolorifiche.
Per uso esterno si può provare per dolori reumatici e articolari sotto forma di impacchi oppure per massaggi stimolanti.
In cosmetica si può usare per il trattamento delle pelli impure e per risciacquare i capelli grassi.
La ricetta secondo me:
FOCACCIA AL ROSMARINO
Comprate dal vostro panificio di fiducia o al supermercato della pasta da pane pronta (oppure preparatela voi con farina, acqua e lievito di birra). Prendete una teglia da forno, ungetela con olio di oliva, stendete la pasta in modo che abbia uno spessore di circa 1 cm o poco più. Con le dita fate dei piccoli crateri su tutta la superficie, ungete con altro olio di oliva, aggiungete qualche granello di sale grosso e un po' di foglioline di rosmarino. Mettete in forno caldo. Sfornate quando è dorata.
Per uso esterno si può provare per dolori reumatici e articolari sotto forma di impacchi oppure per massaggi stimolanti.
In cosmetica si può usare per il trattamento delle pelli impure e per risciacquare i capelli grassi.
La ricetta secondo me:
FOCACCIA AL ROSMARINO
Comprate dal vostro panificio di fiducia o al supermercato della pasta da pane pronta (oppure preparatela voi con farina, acqua e lievito di birra). Prendete una teglia da forno, ungetela con olio di oliva, stendete la pasta in modo che abbia uno spessore di circa 1 cm o poco più. Con le dita fate dei piccoli crateri su tutta la superficie, ungete con altro olio di oliva, aggiungete qualche granello di sale grosso e un po' di foglioline di rosmarino. Mettete in forno caldo. Sfornate quando è dorata.
Carlo Leopoldo I (Leo) presenta: "Bastardi"
Bastardi
Salve! Mi chiamo Carlo Leopoldo, Leo per gli amici.
Sono uno splendido adolescente e sarò ancora più bello
da adulto. Non per niente sono figlio del magnifico Roussolo I,
granduca De' Monti, diventato il mito della vallata. Io non l'ho mai
conosciuto ma le sue gesta sono rimaste famose fra la gente del
popolo e ancora oggi, a distanza di anni, i più anziani si ricordano
di lui. Personalmente non erediterò alcun titolo nobiliare perché
sono frutto di una relazione illegittima, in pratica sono un
bastardo, nato da una breve avventura fra Roussolo e mia madre Tissy,
la zingara.
Roussolo, giovane e bello, con la chioma fulva e il
mantello dorato, viveva in un castello sulla cima della collina più
alta da dove osservava, con aria sorniona, i contadini al lavoro
nelle valli sottostanti.
Ma lui non si accontentava di guardare e, la notte,
scendeva nei campi e distruggeva i raccolti. Aspettava che i
contadini rientrassero nelle loro umili case e, mentre sedevano
intorno al tavolo per consumare una frugale cena, buttava all'aria le
coltivazioni di mais e poi scappava nella notte buia come un fantasma
con il mantello al vento che luccicava sotto il bagliore lunare.
Nessuno osava ribellarsi perché era il figlio dei
signori del castello e perché, quelli che incrociavano i suoi occhi
ambrati, si sentivano intimoriti da quello sguardo fiero e arrogante.
Tissy abitava in una baracca. Anche lei bastarda. Mia
nonna, soprannominata l'Urlona, era, a sua volta, figlia illegittima
di Giada, la mia bisnonna, la più vecchia puttana del paese.
Tissy era una bella moretta, un po' piccolina invero,
libera, indipendente e selvaggia con un cuore grande così. Sua madre
era morta da tempo e sua nonna, che aveva deciso di cambiare vita,
era andata a servizio presso i padroni della tenuta più vasta della
valle: ricchi borghesi arricchitisi con il commercio del bestiame
che, non conoscendo il suo passato, l'avevano accolta come una di
famiglia.
La mia povera mamma viveva tutta sola in una casa
diroccata e, quando non aveva niente da mangiare, andava a bussare
dai vicini che non le rifiutavano mai un boccone o una parola di
conforto, le avevano perfino offerto di andare a stare con loro, ma
Tissy non sopportava alcuna restrizione e preferiva vivere alla
giornata. Una notte, mentre dormiva sopra il suo lurido materasso
pieno di pulci e cimici, sentì un rumore sospetto provenire
dall'esterno. Pensando che fosse un grosso ratto in cerca di cibo, si
alzò silenziosa e, armata fino ai denti, uscì da una finestra rotta
per andare a controllare. Si ritrovò davanti Roussolo in carne e
ossa. Non lo aveva mai visto prima, ciononostante non ebbe alcun
dubbio sull'identità del suo visitatore notturno. Fu un colpo di
fulmine. Il cuore cominciò a galoppare impazzito, la lingua si seccò
e le gambe si fecero molli e tremanti.
Roussolo le chiese di farlo entrare perché un contadino
inferocito gli stava dando la caccia. Restarono insieme tre
meravigliosi, indimenticabili giorni.
Correvano come ragazzini sui prati dove i primi fiori
facevano capolino fra l'erba tenera., si fermavano a bere l'acqua
fresca dai rigagnoli che si erno formati con il disgelo un po'
dovunque, passavano ore e ore sdraiati sotto il sole a contemplare la
vallata dove i contadini operosi lavoravano con alacrità. Facevano
progetti per il futuro. Il mare, in lontananza, luccicava sotto i
caldi raggi. Tissy avrebbe voluto andare sulla sua riva ma
occorrevano troppi giorni di cammino e Roussolo doveva rientrare al
castello. Le promise che sarebbe tornato a prenderla, una volta
sistemati certi affari, ma non lo vide mai più.
Mia madre si accorse ben presto di essere incinta e, pur
sapendo di avere a stento cibo per se stessa, non volle chiedere
aiuto a nessuno, perciò partorì da sola i suoi tre gemelli e,
ancora convinta che quel manigoldo di mio padre sarebbe tornato, ci
diede dei nomi altisonanti pensando che, dopotutto eravamo i nipoti
del granduca. Così io fui chiamato Carlo Leopoldo, mio fratello
Pietro Cirillo Ubaldo e mia sorella Clotilde Leopoldina, in onore
della nonna paterna che non avrebbe mai conosciuto.
Per paura che ci rapissero, si trasferì in un'altra
baracca abbandonata e stava tutto il giorno insieme a noi. Solo
quando il cielo cominciava a oscurarsi andava dai vicini a
elemosinare due bocconcini. Non voglio essere troppo duro nei suoi
confronti ma, in quei primi mesi di vita, io e i miei fratelli
conoscemmo tutti gli stenti possibili. Quando ormai eravamo minati
nella salute, se non nello spirito, si decise a portarci da quella
buona famiglia che già le aveva dato tanto aiuto. Non dovevamo
essere un gran bello spettacolo con gli occhi cisposi, il naso
moccioso e un evidente stato di denutrizione, ma loro ci accolsero
con gioia e, da allora in poi, i nostri guai ebbero fine.
Ora sono qua, bello e fiero, nella mia nuova casa con la
legna che scoppietta nel camino e il piatto sempre pieno di
leccornie. Purtroppo sono rimasto solo perché mia sorella Poldina è
stata azzannata alla gola da un cane rabbioso e Picciù è stato
investito da una carrozza trainata da molti cavalli imbizzarriti. La
nostra mamma adottiva ha consultato i migliori specialisti del
granducato nel tentativo di salvarlo ma tutte le cure si sono
rivelate inutili e Picciù è spirato fra le sue braccia dopo dodici
lunghi giorni di agonia.
Da un po' di tempo mia madre Tissy fa coppia fissa con
Peter, un vagabondo come lei, e fa finta di non conoscermi quando mi
incontra, in quanto a Roussolo nessuno l'ha più visto. Qualcuno dice
che è rinchiuso nel castello, qualcuno l'ha visto partire per
raggiungere il mare, altri dicono che è stato ucciso a bastonate da
un contadino e sepolto in un campo. Probabilmente non lo conoscerò
mai ma a me non importa perché sto molto bene con la mia nuova
famiglia e non ho ereditato né la sete di libertà di mia madre, né
l'arroganza di mio padre: sono allegro, sereno e tranquillo, anche se
un po' preoccupato perché la mia mamma adottiva sta piangendo
ininterrottamente da diversi giorni.
Tutta colpa di Mao. Fin dall'inizio ho tentato di farle
capire che era meglio tenerlo alla larga quello lì, ma lei niente.
Quando ci si mette è più dura del vecchio mulo del signor Duretti
che, se si impunta, non fa più un passo avanti né uno indietro..
L'anno scorso, nel mese di marzo, si presentò alla
nostra porta un vagabondo. Io, la buonanima di mio fratello Picciù e
la signora De Ciccettis, una vecchia dama di compagnia, stavamo
riposando in giardino quando vedemmo scendere dalla collina uno
strano individuo, così strano da non sembrare neanche una creatura
in carne e ossa quanto piuttosto lo scherzo bizzarro di un pittore
ubriaco. Era molto alto, di corporatura robusta, con una folta
capigliatura color cenere, come il suo mantello, e una veste bianca
un po' consunta. Gli occhi, verdi come smeraldi, spiccavano nella
carnagione chiara del volto e, sul naso, aggraziato nonostante le
notevoli dimensioni, tre nei facevano sì che tutta l'attenzione di
chi lo guardava fosse concentrata in quel punto. Doveva essere
piuttosto giovane anche se procedeva un po' stentato, come se fosse
molto stanco o molto spaventato.
Ogni tanto si voltava indietro, forse temendo di essere
inseguito. Giunto al limite esterno della proprietà, si accasciò
nell'erba privo di forze. Noi tre ci scambiammo un'occhiata
preoccupata: quel tipo avrebbe sconvolto le nostre tranquille
esistenze. Intanto arriivò la mamma, puntuale come la grandine di
agosto, giusto in tempo per vedere quel losco figuro sdraiato sul
prato, immobile come un morto. Si precipitò verso di lui. Intanto il
vagabondo aveva cominciato a lamentarsi ad alta voce...Non so cosa
capì però la vedemmo partire alla volta di casa per tornare, poco
dopo, con un piatto pieno di ogni ben di Dio. Alzando la testa quanto
basta, lui iniziò a mangiare con una voracità incredibile e, in
meno di un minuto, il piatto brillava come se fosse stato appena
lavato.
“Eh ragazzi, la vedo male” dissi agli altri due “Va
a finire che adotta anche lui e, visto quanto mangia, siamo
rovinati.”
Picciù, molto più audace di me, balzò giù dalla sua
poltrona e si avvicinò al nuovo venuto con aria minacciosa ma fu
ricacciato indietro da quella sventata di nostra madre che lo
rimproverò aspra, accusandolo di essere poco ospitale. Intanto il
“poveraccio” si era ripreso e aveva cominciato a ringraziare la
mamma con un tono, secondo me, falsamente umile. Le fece un mare di
inchini e moine con un vocione alquanto cavernoso. Com'è ovvio, non
ripartì più. La notte dormiva sotto il portico e di giorno stava
con noi a prendere il sole in giardino. Si presentò come Otto Von
Maoser, barone di Nonhocapitoche, cacciato da palazzo all'arrivo del
giovane erede del principe che piangeva ogni volta che si trovava in
sua presenza. Secondo il principe il bambino era spaventato dalla sua
voce, secondo noi era spaventato dalla sua voracità. Un mese dopo ci
fu l'incidente a Picciù e mamma, disperata, offrì a Von Maoser di
prendere il suo posto e lo mise a dormire accanto a me, nel letto
lasciato vuoto dal mio povero fratello.
La sera, dopo cena, quando stavamo a poltrire intorno al
camino, Mao, così avevamo soprannominato il barone, gorgheggiava un
mucchio di storie, per la verità divertenti, e faceva il giullare.
Confesso di essere stato geloso.
La signora De Ciccettis, con la sua saggezza antica,
tentava di rincuorarmi dicendo che ero sempre io il “cocco di
mamma” ma, quando la vedevo ridere delle battute di Mao, mi sentivo
trafiggere da una fitta dolorosa. Era un gran ruffiano, simpatico, ma
pur sempre un ruffiano. Quando sentiva la carrozza di mamma, era il
primo ad arrivare al cancello e non si stancava mai di salutarla e
riverirla. Intanto anche la sua salute era migliorata e, grazie alla
vita oziosa, il suo aspetto era superbo. Aveva perso quell'andatura
incerta con la quale era arrivato e, quando usciva per la sua
passeggiata giornaliera, aveva un incedere aristocratico, tanto che
tutti noi cominciammo a credere che fosse davvero un barone caduto in
disgrazia. Gli abitanti della valle avevano fatto amicizia con lui e
si fermavano volentieri a scambiarci convenevoli. Mao stava ad
ascoltare tutti con aria affabile, poi tornava a casa e si ingozzava
come un tacchino all'ingrasso.
Devo ammettere che, lontano dai pasti, anch'io e la
signora De Ciccettis cominciammo a trovarlo gradevole e a trascorrere
molto tempo in sua compagnia. Il barone sorrideva sempre ed era in
apparenza sereno ma, certe notti, si svegliava in preda agli incubi.
Lanciava degli strani ululati e scalciava nel sonno, come se stesse
tentando di sfuggire a qualcosa o a qualcuno. Tentai di farmi
raccontare quali tristi esperienze lo avessero segnato a tal punto ma
lui minimizzava e si raggomitolava sul fianco, riprendendo a ronfare
quasi subito. Era un vero signore e non amava parlare di sé. Poi
avvenne la tragedia.
Mao uscì per la solita passeggiata mattutina ma non
fece più ritorno.
Quando la mamma tornò a casa e non lo vide presentarsi
per il pranzo corse a cercarlo, chiese ai vicini se lo avevano
incontrato ma nessuno seppe fornirle notizie. In preda al panico girò
per tutta la valle ma giunse la sera e di Mao nessuna traccia. Il
giorno dopo andò in tipografia e fece stampare dei manifesti,
offrendo una ricompensa a chi l'avesse aiutata a ritrovare Von
Maoser. Andò anche nei villaggi vicini, mostrando un ritratto che
gli aveva fatto lei stessa, ma niente, nessuno lo aveva visto.
Cominciò a pensare che si fosse stancato della nostra famiglia e che
fosse partito in cerca di nuove avventure. Ogni tanto si affacciava
alla finestra, sperando di vederlo tornare.
“Ma perché se n'è andato” sospirava “lo amavamo
tutti”.
E non riusciva a darsi pace. Poi, un giorno, venne un
vicino a dire che il cadavere di Mao era stato rinvenuto in un
cunicolo e che aveva già provveduto a chiamare i pompieri perché lo
venissero a recuperare.
Anche Mao, come Picciù, era stato investito da una
carrozza trainata da molti cavalli imbizzarriti, forse la medesima,
ed era stato lasciato a morire nel fosso in cui era volato dopo
l'urto. Forse stava correndo dietro a un gabbiano e si era
distratto...
La sua partenza è stata in grande stile come l'arrivo.
Lo hanno portato via su un grosso carro rosso fra la disperazione
della mamma e le lacrime dei vicini che lo avevano conosciuto e
amato. Dato che si trattava di un vagabondo, il caso è stato subito
archiviato e quella bestia che ha ucciso lui e mio fratello resterà
impunita. Per questo motivo la mamma sta piangendo e, anche se io e
la signora De Ciccettis facciamo di tutto per distrarla, lei continua
a singhiozzare e a stringere fra le mani il ritratto di Otto Von
Maoser, barone di Nonhocapitoche, entrato come una meteora nelle
nostre vite e uscito con il primo alito di vento estivo.
E così, mentre lei piange, io sono costretto a restare
in casa, un po' per consolarla, un po' perché teme che anch'io possa
fare la fine degli altri due.
Addio topolini e lucertole, addio passerotti nei nidi!
Sto tutto il giorno al computer, ma per un gatto non è di certo il
massimo della vita...
...Sono passati undici anni. Carlo Leopoldo è ancora
bellissimo ma un po' di artrosi alle giunture gli impedisce di usare
il computer perciò terminerò io la storia. Qualche anno fa ci hanno
lasciato la signora De Ciccettis, Tissy, Peter e la bisnonna Giada,
però sotto il portico e in casa hanno trovato accoglienza
innumerevoli nuovi vagabondi. In particolare, nel luglio del 2009, si
presentò alla nostra porta un altro nobile decaduto, l'anziano conte
James di Tonnilinis, che noi ribattezzammo in modo confidenziale
Tonno. I suoi parenti erano partiti per le vacanze estive e, dato che
lui era molto malato e senza un soldo, l'avevano sbattuto in mezzo
alla strada. Pur con un velo di tristezza, aveva accettato il nostro
cibo e le carezze che gli elargivamo e, ben presto, si era procurato
un giaciglio nella nostra umile dimora. I sanitari che lo visitarono
decretarono che non sarebbe vissuto a lungo ma le cure gli ridiedero
energia e lui ritrovò il buonumore. Purtroppo la nostra reciproca
felicità è durata poco però, averlo conosciuto, è stata una
fortuna.
Tonno se n'è andato in una gelida notte di gennaio.
L'abbiamo sepolto sotto il pesco ma lui continua a guardarci dalla
foto incorniciata sulla mensola del camino...Ci ha dato molta gioia,
così come ci danno molta gioia Miss Kiwit, una trovatella che ha
preso il suo posto, e gli altri bastardi, baffuti e pelosi, che
popolano il giardino...con qualche incursione in casa per rendere
omaggio al granduca Carlo Leopoldo, detto Leo: Miss De Ciccettis II,
Miss Dolcina Sweet, Miss Polpetta, Miss Panzi, il signor Bruto, Miss
Charlie Charline, il Moretto, la mamma Pippi Gambelunghe, la nonna
Stortina, lo zio Schizo, la cugina Pallina e la povera Scianca.
Che sonno ragazzi! Ho bisogno di un pisolino...
Esterno e camere
Camera Verde |
Camera Verde |
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Camera Azzurra |
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Camera Gialla |
Bagno della Camera Gialla |
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